Contrappasso
Era cieco e congelato, con qualcosa ficcato in bocca, mani legate e polsi e gomiti torturati, e quel rumore spaventoso, da motore d’aereo, che gli rintronava fin nei denti. L’avevano rapito, porca troia, lui! Provò a urlare, a liberarsi, ma alla fine cedette e piombò esausto e inferocito nell’incoscienza.
La prima cosa che percepì fu il calore sulla pelle. Aprì gli occhi e mise a fuoco grani finissimi di terriccio rosso. Il corpo era un fascio di muscoli contratti, nervi urlanti e giunture anchilosate. “Cristo” mormorò. Era libero, nudo e riarso, e intorno a lui udiva gemiti e lamenti.
Dieci minuti più tardi si guardano l’un l’altro, sei paia d’occhi stralunati, sei visi disfatti sui corpi vizzi già ustionati e quell’espressione incredula, come in attesa di risvegliarsi nel letto di casa. Passa un’ora e c’è chi è uscito di testa, chi ha imprecato e pianto, chi giace sbavante e catatonico. Due se le sono date e uno è accartocciato nel proprio sangue, l’altro scomparso tra i tronchi immani nel secco della vegetazione alta come un uomo. Gli odori sono strani, il caldo feroce, i richiami degli animali spaventosi. E quel cielo, sulle loro teste: così vasto, troppo vasto.
C’era una cassa e dentro la cassa sei bottiglie d’acqua, sei razioni, stracci per vestiti e niente scarpe e sul fondo un biglietto: “Seguite il sole e arriverete alla costa. Trovate un passaggio e vi imbarcheranno. A pagare provvederemo noi con tutti i vostri averi accumulati dagli scranni di un paese che anziché governare avete infiammato d’odio e allagato di pregiudizi. Se sopravvivrete, forse infine capirete cosa sia quell’umanità di cui mai avete dato segno. Avete bande armate alle spalle, centinaia di chilometri da percorrere, prigioni dentro cui essere seviziati in attesa d’essere pigiati su barconi cigolanti insieme a disperati ben più meritevoli di voi di una nuova speranza. Siete profughi e migranti, Signori. Buona fortuna, ne avrete bisogno”.