I figli della grassa
Il sole era tramontato da un pezzo, ma in cielo resisteva la luminosità elettrica dei giorni più lunghi. Alle dieci meno qualcosa il bar era chiuso, l’insegna spenta, i tavolini ritirati. Eppure cinque sedie si allineavano sul marciapiede, bianche sotto quella specie di radiazione celeste. Cinque sedie e altrettante figure, per lo più immobili, dentro cui s’accendeva di tanto in tanto la vampa d’una sigaretta.
– Oh?
– Eh?
– Ce ne andiamo in Marocco?
– Pippi sei suonato?
Il Pippi fece prima finta di nulla, poi si strinse nelle spalle. – Avete sentito di Gesù?
– Lo scemo?
– Lo scemo che in due viaggi ha tirato su milionate e adesso si scarrozza in BMW con quella porno-gnocca super-intappata. Se ce l’ha fatta lui, perché noi no?
– Perché ha solo avuto un gran culo. – commentò una voce che poteva essere di Murat ma anche di Ferruccio. Pippi scosse la testa come a sottolineare che proprio non lo capivano, qual era il punto.
– Culo? Se lo vuoi chiamare culo chiamalo culo, vorrà dire che l’avremo anche noi. Tanto culo e una montagna di soldi. Mica mandiamo i razzi su Marte: prendiamo qualche dritta, doppi fondi nel serbatoio, e torniamo ricchi come sceicchi. Più facile di così…